Consummatum est, 1999. Bronze, cm. 250 di h, es. un.
Sacred Art
Consummatum est
Il segno lacerante esiziale
profondo inciso e conciso
modella in cera il corpo divino sacrificale
fortemente segnato di nervature e snervature forzato e sforzato di tagli e incisi di pieni e di vuoti d’intima e lacerante sofferenza
mostra ancora intatti i solchi profondi
di chiodi di spine di bronzo metallico rilucente concrezionato ossidato e speculare.
I segni di chiodi di spine di bronzo
sono strumenti di passione e d’agonia
nella staticità della morte
non sono disfacimenti della came e dello spirito
sono serena accettazione di sofferenza umana
sottomessa di tutti i peccati del mondo
sono ricordo sereno dell’agonia spasmodica e atroce
che s’identifica nella certezza della mistica
anticipazione della resurrezione.
Consummatum est: divino corpo piu nudo possibile
fatto di came viva e scarnificata
inchiodata e perforata e flagellata.
Consummatum est: Cristo spogliato della pelle
inchiodato su nodoso e curvo ramo d’albero della vita
si proietta nello spazio a librare
e a vibrare nell’aria.
Consummatum est: corpo divino
provocazione del limite statico della materia
spazio universale e celeste
spazio spirituale e di luce
spazio di sofferenza e di passione
spazio di sostanza e d’essenza
spazio di silenzio e di pace
spazio d’amore e di gioia.
F.M. Paonessa
“Via Crucis”. Bronze, cm. 85x15x100, es. un.
Roma, Basilica dei SS. Ambrogio e Carlo al Corso.
Via Crucis, 2000
Chiodi
spine
di bronzo lavico
lacerano
stimmate mute
di dolore metallico.
Calvario
di sangue
di morte
innocente
regala
epifanie
di salvezza
d’amore
all’Uomo
in questo anno Santo
di preghiera
F.M. Paonessa
“Consummatum est!” e la “Via Crucis”
Alla vigilia del Grande Giubileo del 2000 avevo avuto la gioia e l’onore di inaugurare il grande Crocifisso che il Maestro Paonessa aveva creato per la Basilica dei SS. Ambrogio e Carlo al Corso in Roma e che attualmente orna l’altare maggiore. Il tutto si era svolto con una cerimonia veramente memorabile.
Ora lo stesso scultore fa rivivere i tragici momenti che avevano portato Gesú al Calvario con una serie di 15 sculture che ricordano le stazioni della via Crucis. Le grandi produzioni artistiche (ognuna di 85x15x100 cm.) sono sistemate sulle pareti della navata centrale dell’ imponente chiesa romana, in modo che il tempio, con la sua stupenda struttura architettonica, da l’impressione di abbracciare queste stupende opere d’arte, che al fedele ed al visitatore richiamano gli istanti piu dolorosi della vita di Gesú Cristo, al termine della sua terrena esistenza, negli istanti in cui offriva se stesso al Padre per la salvezza dell’umanita. La tematica di allora era espressa con I’espressione Consummatum est. La stessa espressione sintetizza le 15 rappresentazioni bronzee di oggi, perchè ognuna dei esse conducono passo passo al terribile istante in cui Gesú, sofferente sulla Croce, offriva tutto se stesso al Padre per la redenzione di ogni persona. E le parole che mi ero permesso di scrivere allora, sono pienamente valide anche oggi, perchè ognuna delle 15 rappresentazioni storiche guida verso la crocifissione di Gesú. “Quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me”. II “consumarsi” di Gesú in croce è ricco di salvezza, forte nelle suggestioni, sovraccarico di sofferenza. L’ innalzamento svuotato del Cristo offre a tutti i credenti e ai lontani una prova perenne di amore, una paradossale provocazione, un’icona struggente del dolore umano, l’emblema della redenzione. Diversamente da tante altre sculture e religioni, dove il segno della croce ha solo valore di simbolo cosmogonico, nel cristianesimo esso assume una connotazione realista, poichè si riferisce direttamente alla condanna di Gesú di Nazareth attraverso la crocifissione e prepara, nell’ eclisse, al divino evento della risurrezione. Oltre dunque le connotazioni cosmiche e teologiche, il cristianesimo aggiunge un valore di memoria storica e un segno sacramentale di salvezza. La croce “disegnata” dal corpo crocifisso di Cristo non è solo I’olimpica icona del congiungimento tra cielo e terra, ma ricorda l’obbrobrio della vittima sacrificale attraverso cui si compie la salvezza del mondo. Il crocifisso va dunque ammirato con sguardo di fede per provare contrizione del peccato, accedere al dono della conversione, sperare la salvezza eterna. Nella contemplazione del crocifisso il credente deve poter scorgere l’ingresso nella beata etemità, l’affrancamento del dolore umano, la misericordia di Dio. Per questo la Chiesa ha riproposto il crocifisso nelle forme dell’arte, affinchè la bellezza del manufatto evocasse “lo splendore della gloria di Dio ” di cui il crocifisso è sublime immagine nel divino abbassamento. L’arte cristiana non è chiamata ad evocare solamente gli eventi storici, ma a dare loro bellezza al fine di conferire alle opere lo splendor formae. Tale perfezione artistica, che nel “secolo presente” accoglie il significato etimologico di evento in fieri, nel rimando simbolico allude alla piena restaurazione delle cose in Cristo, la cui opera ha compimento nella sua passione, morte e risurrezione. La bellezza artistica delle opere sacre da dunque perfezione sostanziale e quindi chiarezza di contenuto. Pertanto rende piu evidente il messaggio religioso e nel contempo la forza salvifica. L’egregia esperienza scultorea del Maestro Paonessa trova riscontro nel Consummatum est, crocifisso bronzeo di pregevole fattura, collocato a fianco dell’ altare maggiore della Basilica dei SS. Ambrogio e Carlo dell’Urbe. Il prestigioso complesso monumentale può cosi vantare un’ altra opera d’arte, che si aggiunge alle preesistenti per continuare a formare lo scorrere del tempo nel mutare degli stili e delle tendenze artistiche. Consummatum est. Titolo emblematico per denominare un bronzo di maniera carico di suggestione spirituale, ricco di citazioni stilistiche, elegante nella composizione. Il crocifisso non è infatti segno di una consumazione fallimentare, bensi compimento assoluto.
Consummatum est. Impresa che evidenzia la “consumata” perizia dell’autore. Tutt’ altro che aver esaurito la sua vena artistica, egli sa dare elegante compostezza ad un’opera che deve esprimere valori sacrali, situarsi in uno scrigno d’arte, evidenziare tanto il classico quanto il modemo impianto formate della crocifissione. Consummatum est. Opera composta dai toni composti e severi, che abbandona l’elegante dialettica di aulico panneggio e scavato solco figurativo di altre sculture, ricche di citazioni e vivide nell’equilibrio, per combinare plasticamente le incisioni muscolari, l’essenziale panneggio del perizoma, il mistico sguardo aureolato dei capelli. Consummatum est. Scultura in cui l’ immobilità della morte non è corruzione, ma ricordo pacato della sofferenza spasmodica, mistica anticipazione della risurrezione. La scapigliatura ci ispira nel suo movimento l’uscita dal sepolcro. Quanto scrivevo allora per il grandioso crocifisso bronzeo, vale anche ora per ognuna delle 15 stazioni artistiche che ornano ed abbelliscono le pareti della Basilica romana. Esse sono uscite dalla stessa intelligenza, creatività, esperienza di un artista , che sa unire l’acribia scultorea con la conoscenza profonda di quanto la fede ci insegna, il tutto sorretto da una grande e lunga esperienza del faticoso lavoro scultoreo. Mi auguro che quanti passeranno ad ammirare le stazioni della Via Crucis possano trovare, nelle 15 rappresentazioni bronzee che l’artista ha realizzato, la via che li conduce non solo a vedere quanto Gesú Cristo abbia patito in quelle ore della sua passione, ma, soprattutto, a comprendere che la sofferenza che Gesú ha offerto al Padre è stata offerta per ognuno di noi, per la nostra salvezza, e faccia sgorgare nel loro cuore un “grazie” personale e convinto per il dono che Cristo faceva a tutta l’umanita.
Cardinale Francesco Marchisano
Gia Arciprete della Patriarcale Basilica Vaticana
Presidente della Fabbrica di San Pietro e della
Pontificia Commissione per la Conservazione
del Patrimonio Artistico e Storico della Chiesa.
Grafica
Via Crucis. “Gesù muore in croce”, 2000.
Disegno, cm 85×100.
Tecnica mista: pastelli in polvere, tempera, inchiostro
(coll. privata).
Via Crucis. “Gesù e il Cireneo”, 2000.
Disegno, cm 85×100.
Tecnica mista: pastelli in polvere, tempera, inchiostro
(coll. privata).
Via Crucis. “Gesù cade oer la terza volta”, 2000.
Disegno, cm 85×100.
Tecnica mista: pastelli in polvere, tempera, inchiostro
(coll. privata).
The Way of the Cross
La Via Crucis di Paonessa: il “sentimento” del colore e la “ragione” della forma
di Stefania Serveri
La Via Crucis in bronzo di Fernando Mario Paonessa, realizzata per la Basilica romana dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso e collocata cosi da riguardare verso la navata centrale, rappresenta un momento alto della scultura italiana contemporanea. L’insieme si presenta di vasto respiro soprattutto per l’entita delle misure di ciascuna formella: cm. 85x15x100 di altezza. L’intera opera si compone delle tradizionali 15 formelle alle quali si aggiunge una immagine di “proemio” che presenta, oltre alle iscrizioni (Via Crucis. Ave crux, spes unica, salus mundi. Romae lubileum Anno Domini 2000. Scultore Fernando M. Paonessa), la facciata della Basilica ed il Cristo: “Consummatum est”. Qui l’immagine del Cristo e a figura intera; il suo corpo esile come una “ombra” etrusca, si libera, a ridosso di un asse che allude alla croce, ma nell’ampio gesto delle mani, indica gia la Resurrazione.
Opera grandiosa, dunque, che pone in luce la qualità peculiare dell’artista lucano: l’armonica fusione tra elemento plastico e risoluzione pittorica. Difficilmente, infatti, nella scultura si produce questo raro equilibrio, essendo tendenzialmente gli scultori piu portati all’esaltazione dell’elemento plastico, demandando ai colleghi pittori la componente cromatica. Ma è indubbio che la luce, che è il “colore” della scultura, non solo esalta le forme, ma reagisce in modi difformi a seconda delle peculiarità delle superfici. Nel caso della scultura di Paonessa, le superfici essenzialmente scabre ed il segno profondamente inciso creano effetti cromatici di grande intensità. Si coniugano, pertanto, il “sentimento” del colore e la “ragione” della forma. A voler individuare dei precedenti a tale ductus scultoreo si possono individuare due esempi illustri: Donatello e Antonio del Pollaiolo. Se, infatti, il sentimento drammatico delle superfici “martoriate” rimanda alla Maddalena lignea di Donatello, il senso dinamico delle stesse superfici presenta indubbi collegamenti con il dinamismo dei piani del Pollaiolo. In questo raro equilibrio tra plasticità volumetrica e cromatismo di superfici sta uno dei tratti distintivi di Paonessa.
L’artista ha lungamente meditato sulla Via Crucis, riuscendo, tra l’altro, ad offrirne una interpretazione che, pur estremamente rispettosa dell’identificazione del singolo soggetto, fosse iconograficamente nuova. C’e, tra l’altro, da sottolineare che la croce è qui resa dal solo braccio orizzontale, come accertato dagli studi storici, e assume la forma tradizionale a partire dalla XI “Gesú è inchiodato alla croce”. Il rinnovamento iconografico è chiaro segnale della originalità del vero artista, anche di fronte a soggetti radicati nell’immaginario collettivo. Intanto c’è da evidenziare che tutte le formelle si presentano con piano di fondo liscio, con funzione di zona luce riflettente ma, al contempo, simbolicamente come spazio sovrastorico e, pertanto, da “riempire” con tutti gli spazi storici possibili, primo fra tutti, ovviamente, il contemporaneo.
“Cristo e Pilato”, l’incipit della Via Crucis, offre allo scultore la possibilità di definire nel dettaglio la tipologia del Cristo che si incontrerà nelle stazioni a seguire. Volto molto allungato, naso deciso, occhi grandi, sopraciliare dritto, complessione fisica scarna, compatta e longilinea, chiaramente una sorta di rispecchiamento con il fisico dello scultore, suffragata da vari esempi regressi. La figura è ripresa in quello che cinematograficamente viene definito il piano americano, cioè poco piú del mezzo busto. Anche questo dato sarà ripreso nelle successive stazioni. La figura di Pilato è qui completamente di spalle e parziale a focalizzare l’attenzione sul Cristo. La trattazione delle superfici, consente un variegato gioco di luci. La fisicità del corpo di Cristo posta in evidenza, tenderà nelle successive stazioni progressivamente ad assottigliarsi, per indicare l’ideale trasformazione dal corpo fisico a quello etereo.
Fulcro di ogni formella è il volto di Cristo, emaciato e fortemente segnato dalla sofferenza, con le palpebre gonfie e lo sguardo sempre rivolto a terra, quasi a non voler vedere la malvagità degli uomini. Lo sguardo del Cristo si fissa sul fedele solo nella formella XV “Cristo risorge dal sepolcro”. Qui il volto, sempre emaciato, si distende e lo guardo, dalle iridi vivacissime, promette la gioia della salvezza. Il taglio delle figure è come abbiamo detto il “piano americano”: una figura a mezzo busto che consente la piena lettura della composizione ma concentrandola nella dialettica drammatica dei volti e dei gesti delle mani. Molto moderna è anche il “fuori campo” o meglio il parziale inserimento delle figure di contorno delle quali compaiono prevalentemente solo le mani e/o i volti. La linea compositiva, inoltre, tende ad assumere uno specifico valore simbolico che accompagna ed esalta il senso del racconto. Prevalgono, infatti la diagonale, la linea dell’azione umana e la spezzata, con chiaro effetto drammatico. Esemplari sono alcune stazioni che vogliamo qui commentare: IV “Gesú incontra sua Madre”, VI “Una donna asciuga it volto di Gesú”, IX “Gesú cade la terza volta”, XV “Gesú risorge dal sepolcro”.
Nella IV stazione, la reciproca posizione dell’asse della croce e dei corpi della Madre e del Figlio producono un forte sentimento patetico e, al contempo, documentano una profonda rilettura e dei testi evangelici e della storia dell’arte. I volti di Maria e di Gesú”, infatti, si stagliano sul legno della croce ad indicare che la Madre partecipa del martirio del Figlio. L’atteggiamento del Figlio è quello di rientrare nel ventre della Madre, un ritorno che è ansia di protezione e di conforto. Il gesto, che lega il concepimento all’ineluttabilità della morte, recupera una tematica che fu cara al grande Michelangelo.
Nella VI stazione, il fulcro drammatico è offerto dagli occhi del Cristo su cui si concentra lo sguardo dell’osservatore, essendo il restante del volto nascosto dal velo che Veronica tende ad asciugare sudore e sangue. Della donna si vedono il capo, coperto da un fazzoletto, un braccio e parte delle terga. La composizione è di raro equilibrio per la presenza, in ritmica impostazione, delle verticali, offerte dal corpo di Veronica e dal drappo ricadente, e delle orizzontali, che dal basso verso l’alto gradatamente passano dalla linea curva del velo e del braccio a quella rettilinea della croce.
Originalissima è l’iconografia della IX stazione, con la figura del Cristo completamente atterrata, quasi ad arare, nello spasimo, con le scarne dita il terreno, mentre il corpo risulta schiacciato dal legno della croce. Assolutamente nuovo e questo Cristo abbattuto, ad esplicare il concetto che Egli ha preso su di se tutti i peccati dell’umanita. II peso del legno si fa qui insostenibile, al limite dell’annientamento della vittima sacrificale. Il Cristo si fonde quasi con quella terra a cui è stato inviato per guadagnare agli uomini la redenzione. La composizione è diagonale e non esistono nè la verticale della tensione spirituale nè l’orizzontale della morte e della stasi. Cristo è visto qui in tutta la tragedia del dolore umano.
Sereno è lo sguardo del Cristo risorto della XV stazione, anche se il suo corpo conserva ancora tutte le tracce della recente passione. Come una mandorla di gotica reminescenza, l’ampio mantello circonda il Risorto dal gesto benedicente. Le linee qui si dispongono simmetricamente rispetto alla verticale centrale, offerta dal busto del Cristo, commentando visivamente la centralità della sua figura. Lungo è laborioso è stato liter di questa Via Crucis, un iter documentario dagli stucchi propedeuci. Alla fusione in bronzo e, prima ancora, dai bellissimi disegni. Questi ultimi sono interessantissimi perchè documentano la genesi del lavoro, l’ideazione primaria dalla quale è scaturito tutto il percorso esecutivo. Come ben osservava Michelangelo, infatti, il disegno è alla base di tutto perchè in esso è l’idea prima dalla quale tutto il resto deriva.
Tabernacolo, 1985.
Bronzo e cristallo, cm 280x50x120, es. un.
Salerno, Chiesa di S. Pietro in Camerellis
Tabernacolo, 1985.
Formella di sinistra.
SOLVENS INIMICITIAM IN CARNE SUA (EF. 2.14 Apocalisse).
Ha annullato nella sua carne l’inimicizia,
Grottaferrat. RM
Chiesa di San Giuseppe
Tabernacolo, 2003.
“Desiderio desideravi”…
Bronzo, cm. 90x16x150, es. un
Tabernacolo, 1985.
Formella di destra.
NUNCH AUTEM RECONCILIAVIT IN CORPORE CARNIS EIUS (C.O. Luca 1.22).
Ora siete riconciliati nel suo corpo mortale.